lunedì 30 settembre 2013

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— Volevo andare... in un posto — proseguì lui — ma continuavo a sentirmi trascinato qui. Non riuscivo a smettere di camminare, non riuscivo a smettere di pensare. Alla prima volta che ti ho visto e a come, da quella volta, non sono più riuscito a dimenticarti. Ho cercato, ma non ci sono riuscito. Ho fatto in modo che Hodge mi mandasse a prenderti per portarti all'Istituto. E anche allora, in quello stupido caffè, quando ti ho visto sul divanetto con Simon, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato: dovevo esserci io con te, su quel divanetto. Dovevo essere io quello che ti faceva ridere così. Non riuscivo a liberarmi da quella sensazione. Che dovevo essere io. E più ti conoscevo, più lo sentivo. Non mi era mai successo prima. Prima succedeva che desideravo una ragazza e poi la conoscevo e poi non la desideravo più. Ma con te la sensazione era sempre più forte, fino alla notte in cui sei arrivata a Renwick e ho capito.
E poi scoprire il motivo per cui mi sentivo così, come se tu fossi una parte di me che avevo perduto e di cui non sapevo nemmeno di sentire la mancanza, finché non ti ho rivisto. Scoprire che era perché tu eri mia sorella mi parve davvero una specie di scherzo cosmico. Come se Dio mi stesse sputando in testa. Non so nemmeno io per cosa, forse per aver pensato che potevo averti, e meritare una cosa bella come te, ed essere felice. Non riuscivo a immaginare cosa potevo aver fatto per essere punito in questo modo.
— Se tu sei stato punito — disse Clary — sono stata punita anch'io. Perché tutte le cose che tu sentivi le sentivo anch'io. Ma non possiamo... Dobbiamo smettere di sentirci così, perché è la nostra unica possibilità.
Le mani di Jace erano strette ai suoi fianchi. — La nostra unica possibilità per cosa?
— Per poter continuare a vederci. Perché altrimenti non potremo più stare vicini, nemmeno nella stessa stanza. E io non potrei sopportarlo. Preferisco averti nella mia vita anche solo come un fratello, piuttosto che non averti affatto.
— E io dovrei starmene seduto a guardare mentre tu esci con altri ragazzi e t'innamori di qualcun altro e ti sposi...? — Gli si indurì la voce. — E nel frattempo, guardando te, morirei un po' ogni giorno.
— No. Per allora non te ne importerà più nulla — replicò Clary. Ma si chiese, mentre parlava, se lei avrebbe potuto sopportare l'idea di un Jace a cui non importava. Non aveva mai pensato così in là nel tempo. Quando cercò di immaginare se stessa che guardava Jace che si innamorava di un'altra e la sposava, non riuscì nemmeno a figurarselo, non vide niente se non un tunnel nero e vuoto, davanti a lei, che si allungava all'infinito. — Ti prego. Se non diciamo niente... se fingiamo...
— E impossibile fingere — disse Jace con assoluta chiarezza. — Io ti amo e ti amerò fino alla morte e, se c'è una vita dopo la morte, ti amerò anche allora.
Clary trattenne il respiro. Le aveva dette. Le parole da cui non si tornava indietro. Cercò disperatamente qualcosa da dire, ma non le venne niente.
— E so che pensi che io voglia stare con te solo per... per dimostrare a me stesso che razza di mostro sono — aggiunse Jace. — E forse sono davvero un mostro. Non so rispondere. Ma quello che so è che, se c'è sangue di demone in me, c'è anche sangue umano. E non potrei amarti come ti amo, se non fossi almeno un po' umano. Perché i demoni vogliono. Ma non amano. Io invece... Jace si alzò, mosso da una sorta di furia improvvisa, e si avvicinò alla finestra. Sembrava smarrito smarrito come lo era stato nella Sala degli Accordi, davanti al corpo di Max.
[...] Ho passato questi ultimi giorni a chiedermi se mi odiavi. E quando ti ho visto stasera ero quasi sicuro di sì.
— Odiarti? — le fece eco Jace, stupefatto. Le sfiorò il viso con delicatezza, solo con la punta delle dita. — Ti ho detto che non riuscivo a dormire. Domani a mezzanotte, o saremo in guerra o saremo servi di Valentine. Questa potrebbe essere l'ultima notte della nostra vita, sicuramente l'ultima notte normale, anche se solo vagamente. L'ultima notte in cui andremo a dormire e ci sveglieremo come sempre. E tutto quello che riesco a pensare, è che voglio passarla con te.
Il cuore di Clary fece una capriola. — Jace...
— Non in quel senso — precisò subito lui. — Non ti toccherò nemmeno con un dito, se non vuoi. So che è sbagliato... Dio, è tutto così sbagliato... Ma voglio solo sdraiarmi con te e svegliarmi con te, una volta sola, una volta sola nella vita. — C'era disperazione nella sua voce. — È solo questanotte. Nel grande schema della vita, quanto può contare una notte?
Pensa a come ci sentiremo domattina. Pensa a quanto sarà più difficile fingere che non c'importa niente l'uno dell'altra davanti a tutti, dopo che avremo passato la notte insieme, anche se sarà solo per dormire. Sarà come assaggiare una droga: ci farà solo desiderare di averne ancora.
Ma era per questo che Jace le aveva detto tutto ciò, capì Clary. Perché non era così, non per lui: non c'era niente che potesse peggiorare ancora le cose, come non c'era niente che potesse migliorarle.
Quello che sentiva Jace era definitivo come una condanna all'ergastolo. E lei? Poteva forse dire che era molto diverso, per lei? E anche se sperava che potesse essere diverso, anche se sperava di potersi un giorno convincere, con il tempo o con la ragione, o per progressivo logoramento, di non provare più quei sentimenti, non importava. Non c'era niente che avesse mai desiderato nella vita più di quella notte insieme a Jace.

Shadowhunters -Città di vetro- capitolo 14

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